Un Conte di Torino, invitato dal marchese de Cordova a trascorrere una vacanza ad Aspra, giacque alcune notti con una cameriera di villa Sant’Isidoro e la ingravidò. Il bambino nacque, ma la madre non ebbe nessuna intenzione di crescerlo. Il nobile, al corrente di tutto, prima di ritornare in Piemonte, volle lasciare nella culla un biglietto col nome del suo casato: Alpi, per l’appunto. Venne così abbandonato nella ruota degli esposti al Santo Spirito. Le suore, notando subito il blasone impresso, per contaminazione storica, lo chiamarono Annibale, ma per la famiglia Balistreri che lo adottò, fu sempre Turiddu. Il piccolo crebbe, attorniato da grande affetto. Dopo diversi anni, il padre naturale decise di tornare ad Aspra per conoscere le sorti del figlio ormai ragazzo. Al suo arrivo, adulti e bambini accorsero a vedere lo sfarzo della sontuosa carrozza, seguita da servitori e lacchè. La visita del conte celava una ragione: riportare il figlio con sé a Torino. I genitori adottivi e i fratelli erano in ansia; temevano che il giovane potesse essere abbagliato dal lusso e dalla sicurezza di una vita più agiata, ma il loro amore non gli era di certo mai mancato. Erano stati così premurosi e attenti che avevano persino accumulato il denaro dell’assistenza, per consentirgli di realizzare da adulto, le sue ambizioni. Turiddu non cedette alle lusinghe, deciso, senza indugi, a rimanere nel suo paesino che sin dall’infanzia lo aveva protetto e cullato. Era ancora giovane quando avviò, con quei risparmi, un’azienda di pesce conservato. Intraprendente e abile com’era, riuscì presto ad avere ottimi guadagni; il suo primo contatto commerciale in continente fu proprio Torino. Era un grande lavoratore, intraprendente, carico di energia e positività.
Nino, un ragazzo che lavorava nella sua ditta, lo accompagnava giornalmente al vicino porto. All’alba percorrevano la litoranea di Mongerbino e Turiddu, nel punto in cui il sole maestoso emergeva dall’acqua, celebrava un rito. Quell’ostensorio naturale gli illuminava il cammino, meritava gratitudine. Quindi, scendeva dalla macchina, si raccoglieva in preghiera e dopo qualche istante, recitava un’acclamazione di lode. Poi, in pace con se, col mondo, si avviava ad acquistare il pesce azzurro.