Annuzza sottopose ogni scelta al marito, l’uomo riteneva eccessi anche le necessità. Diventò madre, ma fu costretta a nascondere perfino i momenti in cui sfamava i figli. Il silenzio fu la perenne risposta alle vessazioni subite. Anna si rinchiuse in se stessa e si annientò, scivolando, a poco a poco, in un servilismo che la rese incapace di avvertire il suo stato. Congelò ricordi e speranze e vagò in una dimensione che le concedeva il minimo, riflesso nella sua espressione di rassegnata imperturbabilità.
Con le forbicine, annodate al collo, si sedeva frequentemente a ricamare e tra ghirigori e intrecci, si consumava, perdendosi e ritrovandosi. Il marito, tra i più abili e competenti uomini di mare, annotava periodicamente il suo sapere in un diario, trasmesso all’occorrenza agli altri pescatori, per questo a lui grati. Capiva il tempo e ne intuiva le variazioni. Conosceva lune, venti e correnti di cui era spesso preda. Colmava i suoi vuoti interiori, imponendo potere, concedendo solo sporadicamente qualche spiraglio di luce. Lei, aggrappata a quelle poche concessioni, lo amò, fino alla fine. Un mattino, stese il lenzuolo e perse i sensi… e cadde…per sempre. L’uomo, smarrito, si ritrovò solo. Avrebbe fatto l’impossibile per riportarla in vita, di nuovo a se. Erano stati entrambi pietrificati dalla prepotenza, per averla esercitata e per averla subita. Ora, Annuzza andava ad ereditare la terra, senza il timore di dover nascondere più nulla a nessuno.