Il passaggio da una condizione all’altra fu il filo rosso della sua intera esistenza. Era ancora alle elementari quando scoprì di essere stato registrato all’anagrafe come Pietro Pacucci, mentre da sempre tutti lo chiamavano: Antria Cera. Erano stati proprio i coniugi Cera ad adottarlo ed amarlo come un figlio naturale, riconoscendolo anche nell’eredità. Gli piacque credere che Pacucci fosse l’acronimo delle sue origini: Piazza Armerina-Conti Ubaldo-Convento di…-ecc. ecc…D’altronde, vantare natali aristocratici era ambizione delle figure leggendarie e lui per certi versi leggendario lo fu.
Gli piacque anche pensare di essere nato da una relazione tra due giovanissimi rampolli di alto lignaggio. Ma fu o non fu, Antria crebbe ad Aspra, divenendo subito un indefesso lavoratore, una finissima mente, dedita al commercio e all’imprenditoria.
Cominciò le sue attività, col rivendere a Palermo, porta a porta, il latte prodotto in paese, latte fresco e imbottigliato ogni mattina. Ma Antria era un irrequieto, guadagnata una solida posizione, avvertiva presto la stuzzicante frenesia di cambiare, di esperire la vita nei suoi caratteri più vari. Non si riconobbe mai nello spazio assegnatogli, non si lasciò mai avvinghiare negli anelli di soporifera comodità. La continua ricerca di strade da intraprendere gli garantiva lauti guadagni, documentati anche dagli introiti dello stabilimento per la conservazione del pomodoro e della carne, ulteriore operazione pianificata e realizzata. Nelle continue rivoluzioni personali, avviava attività fiorenti che poi puntualmente passava ai tanti incontrati sulla via, facendone la loro fortuna. Un giorno, decise di partire alla volta del suo paese natio.
Aveva testato la vincente formula della latteria e lì la reimpiantò, procurando lavoro a numerosi ragazzi del luogo. Placato quest’altro desiderio e sopraffatto ancora una volta, dalla routine quotidiana, gabbia da cui fuggire, s’immaginò di nuovo altrove. A quel punto, volle tornare nella culla che lo aveva accolto e allevato. In paese, fondò dapprima un burrificio, poi un ricco e proficuo commercio di generi alimentari. Purtroppo, nelle sue innumerevoli transizioni, travolgeva moglie e figli che ineluttabilmente erano costretti a seguirlo.
Peregrinò senza sosta da un posto all’altro, fino a quando cominciò ad avvertire il peso degli anni e la voglia di fermarsi. Alla fine, ormai anziano, acquistò un podere vicino Aspra e divenne contadino; nel rapporto con la madre terra si ritrovò. Il tempo pretese radici.