Le sue mani non si accordavano alla piccola statura, ma di certo quelle grandi mani nodose rappresentavano la metafora della sua personalità. Graziella correggeva tutte le apparenti contraddizioni con una sorta di innato baricentro; da quel punto lei consolava, rassicurava, dispensava affetti. Era nata in una spelonca e vi abitava col padre infermo, i numerosi fratelli e la madre che per garantire a tutti un po’ di pane, realizzava scope di disa. Un giorno, tra i vicoli, girò voce che noti aristocratici palermitani cercavano una compagnia per la loro bambina. La madre di Graziella non ebbe alcun dubbio e a soli sette anni, la fece trasferire subito in quel palazzo di città. La nobiltà era ormai al canto del cigno; la servitù si riduceva di anno in anno e Graziella, crescendo, dovette adattarsi al ruolo di cameriera e cuoca. In quel periodo, riuscì a trarre il meglio di un ceto, i cui rappresentanti non spiccavano certo per umiltà. Crescendo, ebbe modo di affinare le sue doti innate di signorilità, eleganza e se ne avesse avuto ancora bisogno, di discrezione. Perfezionò persino il controllo della più comune impulsività :“Chi ti pigghiassi n’amuri ri ‘Ddiu», intesa nell’accezione “che Dio abbia pietà di te”, era la più forte imprecazione che mai potesse rivolgere a qualcuno. Donna intelligente, dispensatrice di vita e di pace, fu sempre tollerante con tutti, eccetto con i seminatori di zizzanie, definiti da lei “malerba”, i più vili detrattori in cui ci si potesse imbattere.
Dopo diversi anni, tornò in paese. Era stata promessa a Vincenzo, lavoratore instancabile, uomo incontaminato, talmente ingenuo che non capì mai cosa fosse il diritto; agì sempre assolvendo doveri. Dalla moglie non pretese nulla, lei lo comprese nella sua semplicità e allo stesso tempo, gli assicurò affetto e dedizione. Dopo la nascita di nove figli, Graziella fu costretta dalle esigenze familiari, ad andare di nuovo a servizio. Dopo anni, ottenne un lavoro come cuoca alla colonia marina di Aspra e fece finalmente ritorno a casa. Per spiccata sensibilità d’animo, ogni giorno distribuiva gli alimenti che arrivavano anche a chi, avendo fame, stazionava in attesa davanti ai cancelli. Una volta, già in pensione, ospitò a pranzo un influente diplomatico con la moglie, proprietari di una residenza in America, in cui lavorava la figlia emigrata. Fu impeccabile anche in quell’evento. Non ebbe nessuna deferenza nei confronti del potere, ma certamente gratitudine per quei due coniugi che avevano rimandato i loro impegni, pur di conoscerla. Con i fiori ricevuti, percorse a piedi, con loro e la famiglia al seguito, alcune vie del paese in festa. La sua espressione sorridente lasciava trapelare grande gioia e riconoscenza, sempre all’interno di un’ imperturbabile compostezza. Davanti a quella grazia, a quella nobiltà d’animo, quel giorno, Aspra intera si inchinò