Il garbo, l’educazione, la compostezza di Anna si manifestavano ad ogni passo. Aveva mani di alabastro e le idratava come creature da accudire.
Nei pomeriggi assolati, si sedeva fuori e con devozione si dedicava a quelle mani di fata. Anna si distingueva tra le amiche: era elegante, gentile, colloquiale con tutti, pur sempre nella riservatezza. Fu la prima ragazza di Aspra a trovare impiego come commessa.
Viveva una vita serena, tranquilla, con genitori, appagati di ciò che il quotidiano concedeva. Ad un tratto, quel moto armonico si bloccò: la sorella e il fratello emigrarono in America; i genitori morirono; l’uomo che tanto amava, la abbandonò. Aveva costruito la sua fragile struttura su quei sostegni, d’improvviso, spazzati via. In quel vuoto, la depressione dilagò su ogni cosa: sugli occhi, sui ricami, sulle tele. Dissociata, si chiuse e rinunciò al mondo. Dopo tempo, tentò di curarsi e sembrava esserci speranza, sembrava stare meglio!
Purtroppo dopo poco, ripiombò nel buio. Tentò di nuovo, andando in America, ma si portò dietro il buio che aveva dentro. Ritornò più delusa e peggiorata che mai. Anna si aggrappò alla fede, ricamando un voto: un manto nero trapuntato di stelle che avrebbe coperto l’Addolorata durante la Via Crucis. La grazia non arrivò mai e per anni, il fercolo in processione, venne accolto per strada dalle sue urla raggelanti.
Una mattina, da quella casa si sentì cantare un gallo. Aveva la zampetta legata al piede della tavola e girava, senza sosta, senza poterla più lasciare.
Intanto, nel tempo, la sua abitazione scricchiolando, cominciò a cedere. Elaborò un progetto sconnesso di ristrutturazione. Da sola, ogni giorno accumulava pietre su pietre, ammassandole l’una sull’altra, lì, al centro della casa. Avrebbe voluto, nel suo immaginario, raggiungere il tetto; avrebbe voluto edificare la sua colonna portante Anna non riuscì mai ad ultimarla.