Angelina rimase vedova a diciassette anni, appena quindici giorni dopo il matrimonio. Sicura di gravare sull’esiguo bilancio della famiglia d’origine, decise di non fare ritorno dai genitori, e sull’onda delle tante amiche che l’avevano preceduta, diede disponibilità di lavoro a servizio a tempo pieno, sicura di volersi spostare, se fosse stato il caso, anche in città.

Presto ingaggiata, si stabilì a vivere come tata da nobili palermitani, proprietari di un’importante azienda vinicola, trasferendosi, di tanto in tanto, in altre abitazioni, per accudire il neonato di qualche loro conoscente. Cominciò sin da subito ad amare il suo lavoro. Comprendeva bene le esigenze dei piccoli e le assecondava, allevandoli con cura ed equilibrato affetto. Li accompagnava a scuola, occupandosi al rientro della biancheria, della stanzetta e di tanti altri compiti che scandivano il ritmo della sua giornata.

La sera, dopo averli accompagnati a letto, si concedeva qualche momento di pausa, dialogando con Tanina, impiegata come cameriera nella stessa casa. Insieme si ritrovavano ad intrecciare pensieri, opinioni, ricordi del loro vissuto, magari davanti ad un buon bicchiere di vino. Quel momento per Angela era sacro; affrancata dai vincoli quotidiani, delineava i confini di uno spazio conquistato, sempre all’interno di un decoro e di un contegno che non l’abbandonarono mai.

Angela non rappresentava la donna negli antichi ruoli di moglie, madre o angelo del focolare; era dotata di grande senso materno, pur consapevole che non avrebbe potuto, né  voluto, sostituirsi ai genitori dei piccoli, via via allevati.

Era già anziana quando, ormai in  pensione, fece ritorno ad Aspra. Pensava spesso al suo lavoro, a quegli anni, trascorsi in quella dimora e si sentiva appagata del bene che sicuramente aveva dato. Angelina era stata una donna che si era adattata al naturale fluire degli eventi, all’inizio anche drammatici, che le erano stati riservati, però non aveva mai ceduto un solo istante alla disperazione o alla rassegnazione; si era realizzata trovando il suo posto, in modo spontaneo, intuendo che il senso del vivere forse era custodito all’interno della vita stessa.