La passione per tessuti e squadre la indirizzarono verso la moda e fu presto sarta, una sarta d’alta classe. Un giorno, volle partecipare ad un prestigioso concorso per la creazione di abiti femminili: lo vinse, realizzando l’abito più chic in gara.
Aghi e metri l’avevano educata al rispetto del sacro spazio altrui, affinandole l’inclinazione a modulare, a regolare le distanze. Carattere composto ma indomito, lasciò l’uomo, prescelto dalla madre, dietro la porta di casa mentre implorante, le chiedeva la mano.
Si innamorò di Gioacchino: abito bianco, bello, un sole. Insieme, acquistarono casa prospiciente il mare, adibendone il pianterreno a taverna. Angelina, abbandonando sete e merletti, si reinventò, preparando pietanze per i beoni, assidui frequentatori di quel mondo senza fretta.
Il tempo passò. Si era dedicata totalmente alla gastronomia, poi, sull’onda dell’eleganza, le balenò l’idea di destinare il primo piano dell’abitazione a ristorante; il sole ne decretò il nome: “Costa d’oro”, per l’appunto. Sua la scelta di vasellame, tovagliato e divisa di camerieri con l’immancabile papillon: un trionfo. L’eco del nuovo esercizio si propagò in città e intere famiglie viaggiavano verso Aspra per gustare le squisitezze dei suoi pranzi domenicali. La fama arrivò addirittura a Lucio Bosco, cronista di una radio newyorkese, che venne ad Aspra per intervistarla. Persino una regina del vecchio continente mangiò al “Costa d’oro”, ma la deluse per il suo abbigliamento ordinario.
Angelina, attratta da nuove rotte, accarezzò un sogno più ambizioso: uno chalet sul mare. Dell’istituto alberghiero di Palermo, furono selezionati i vari camerieri, cui il garbato professionale Andrea Lorenzini, mentre da Napoli, arrivarono i cuochi, nella migliore tradizione dei Monsù. Il ristorante venne curato con maestria, dalla mise en place, alle piante, ai fiori in un tripudio di colori e profumi inebrianti. La sera poi, sotto un ponte luccicante di luna, si scorgevano coppie ballare guancia a guancia sulle note di un’orchestrina swing, tra una lindisima Amapola e un’abat-jour.
Gli anni passavano, i due figli maggiori cominciavano a frequentare esclusivi educandati e Angelina, con la più piccola, si recava spesso in città a trovarli. Ebbe l’esigenza di imparare a guidare e fu tra le prime donne della provincia a conseguire la patente.
La vita trascorreva piena, serena, ma la donna era attratta da nuovi orizzonti, sostenuta sempre dalla collaborazione e dall’amore incondizionato di Gioacchino. Era il momento di puntare ancora più in alto: il Costa d’Oro doveva acquistare la solidità del mattone. Il progetto venne affidato ad un noto tecnico dell’epoca. Purtroppo, enormi furono gli errori di calcolo, fatali per la stabilità dell’edificio. I lavori vennero bloccati. Intanto a Palermo, nascevano altri ristoranti sul mare. La concorrenza fu spietata. Una tempesta di marzo fece il resto; il mare di notte portò via tutta la fornitura lasciata a deposito sulla vecchia piattaforma.
Dopo un primo periodo di scoraggiamento, Angelina rinacque più coraggiosa e tenace che mai; sembrava che ogni burrasca le conferisse maggior vigore. Inaugurò presto il nuovo “hotel-ristorante Costa d’oro”. Angelina gestiva, dirigeva, cucinava e si occupava delle camere, preparando anche pranzi da asporto per i villeggianti.
La formula, supportata da un’immane lavoro, si rivelò vincente, tanto che col marito acquistarono un podere in collina, ricco di ulivi, pini e ogni sorta di albero da frutta. Una mattina, lo scirocco infernale di un giorno d’estate aiutò l’incendio doloso a divampare; ogni lembo di terra, ogni filo d’erba venne bruciato. Non rimase più nulla… Angelina e Gioacchino per la prima volta faticarono a riemergere, avevano visto tutti i loro sacrifici, vanificati; avevano visto tutti i loro sogni, infranti.
Nel frattempo, cominciarono ad accusare il peso degli anni; considerarono così di lasciare aperto solo il bar. Dopo qualche anno, Gioacchino improvvisamente morì. Angelina conobbe i confini estesi di quel vuoto. Si ritirò nella sua casa, ritornando alla sua antica passione, agli abiti, confezionati ormai solo per i figli e gli amati nipoti. Delle sue vicissitudini non parlò mai, era una donna che aveva vissuto fin troppo il presente, i giorni tristi li aveva accartocciati dentro qualche riservato mondo, senza mai raccontarli a nessuno. Dalla sua persona emerse sempre, in modo del tutto naturale, una grande immensa dignità.