Il sangue pulsava nelle loro vene ed era ritmo. Tra una polka, un valzer e un tango, i tre fratelli coinvolgevano il pubblico nelle danze vertiginose di un’Aspra affamata, ma ancora palpitante. Eccitavano i partecipanti con le corde della chitarra, del mandolino e del contrabbasso. Era tempo, in cui tutti aspiravano ad abbandonare la terra ormai sterile. Un giorno, si imbarcarono in un piroscafo, inseguendo il loro sogno americano. Nella traversata, suonarono brani, accompagnando i sentimenti dei migranti, smarriti tra distacchi e speranze. Sbarcarono a New York, facendo poi rotta verso Toronto. In Canada, cominciarono a farsi conoscere, esibendosi nei teatri e nei club delle varie città. Eseguivano motivi tradizionali della loro cultura, nobilitati da uno swing conturbante, necessario a consolidare i vincoli di una nuova identità. I locali traboccavano quando nelle locandine svolazzavano i loro nomi. Pietro, Vincenzo e Peppino, nelle notti invernali, andavano per strada, accendevano il fuoco e suonavano, intrattenendo i passanti. Qualcuno gettava un soldo, subito dopo puntualmente raccolto e restituito; i Vitale erano orgogliosi di sottolineare che in quelle occasioni, la loro arte non aveva prezzo, sgorgava dal cuore ed era il loro ringraziamento al mondo che gliene aveva fatto dono. La musica superava i confini, annullava le differenze, unendo tutti in un’unica grande umanità. Un triste giorno Peppino morì. I fratelli tentarono di comporre un duo, ma dai loro spartiti ormai era volato via quell’accordo…per sempre…Tornarono ad Aspra alle vecchie abitudini, al vecchio lavoro di contadini. Ogni tanto, qualche brano scalpitava nella memoria, allora Vincenzo si alzava, portava la mano alla guancia e con tutta la forza che aveva in petto, intonava un canto. Quel canto si propagava nei campi, rifletteva sulla montagna e ritornava indietro, atteso anche da Pietro. I due fratelli si guardavano e in silenzio annuivano, poi piegavano la schiena e riprendevano a vangare.