Calati juncu ca passa la china, Nunzia espresse al meglio la filosofia racchiusa in questo aforisma. Ogni tanto le piene inondavano la sua vita, ma lei non si spezzava mai.

Suo padre, sul finire della grande guerra, era stato travolto da una slavina, lasciandola orfana. Come tanti altri bambini, accomunati dalla stessa sorte, venne internata in un freddo collegio dal regime autoritario, il cui sistema coercitivo condannava la sua bella creatività. Nunzia era fin troppo eclettica ed estrosa per conformarsi al potere imposto, e puntualmente veniva punita.

Irrequieta e ribelle, rigettò il rigido ordine che vi regnava, e inconsapevolmente, indicò la via ad altre compagne. D’altronde, era sempre pronta a prestare aiuto e soccorso, lottando per il bene comune. Una notte di forte inquietudine, annodò “lenzuolo con lenzuolo”, di epica memoria e fuggì, sottraendosi all’ennesimo castigo che la segregava nella solitudine della sua stanzetta. Ma aveva la capacità di non procurarsi mai guai, riuscendo a trovare in ogni occasione, soluzioni brillanti per cavarsela.

Nunzia crebbe, incontrò il buon Nino, lo sposò ed ebbe sei figli. I drammi purtroppo ogni tanto infierivano come scalpelli, alternandosi alle gioie. Da quella materia informe, colpo dopo colpo si liberò una donna, piccola nel fisico, ma dal temperamento forte, tenace e con una straordinaria passione per la vita. Nunzia divenne la rappresentazione intelligente della leggerezza, di quella leggerezza mai frivola, un talismano contro l’inedia, cui avrebbe potuto soccombere nei momenti tristi.

Quando la madre, bidella, andò in pensione, prese il suo posto, seguendo con lo sguardo sempre vigile, generazioni di alunni della scuola elementare di Aspra. In quegli anni, nel supplire le maestre, era uno spasso; intratteneva la classe con filastrocche, scioglilingua, indovinelli e “cunti” con un fascino nostrano, narrati e interpretati in modo così avvincente, che le si chiedeva di non smettere mai. Era anche molto materna; i bambini le mostravano disegni, temi, voti e lei, a volte lodandoli, altre consolandoli, li allevava con occhi benevoli.

L’epifania era la sua festa preferita, il suo momento di estro; invitava figli, nipoti e amici, esibendosi in una messinscena della befana con scopa, nasone e brufolo annesso, tanto brutta quanto comica. Immedesimata nel personaggio, elargiva doni e risate a tutti i presenti.

Quando fu ormai in pensione, si distinse per l’organizzazione di allegre serate attorno ad un tavolo dalla doppia funzione: da gioco e da convivio. Fino a notte fonda, socializzava, condividendo rituali con gli amici, coinvolti dalla stessa ludica passione. Nella tensione per l’eventuale vincita, trovava una certa ebbrezza emotiva e frattanto adottava strategie che via via le garantivano una parvenza di libertà.

Nunzia non invecchiava mai: gli amici, le feste, le notti! sembrava aver bevuto l’elisir di lunga vita. Quanti ricordi! Quanta gioia! Certo, ogni tanto, il mazziere si divertiva a sparigliarle le giornate, così senza un’apparente logica, ma quell’eterna “signorinella pallida” possedeva una virtù innata di impareggiabile valore: le carte, quelle carte seppe giocarle sempre al meglio.