Nell’ultima casa di Viale dei Cipressi, costeggiato dai maestosi alberi dall’aspetto gotico, viveva ai tempi Pinuzza Reale. Ad uno sguardo superficiale, poteva apparire come un’anonima, sciatta zitella di provincia, ma all’ascoltatore più attento, più curioso, non sarebbero certo sfuggite le sue frasi ad effetto, il suo linguaggio forbito, le sue proverbiali espressioni: era insomma un personaggio che sorprendeva per le sue misteriose peculiarità.
Piccola, tozza, con spesse lenti e tratti grossolanamente orientali, non contava certo sul suo aspetto fisico, che anzi trascurava, non avendo mai trovato la ragione per essergli grata; crescendo, fece leva sulla sua dote naturale: l’intelligenza. Amava leggere gialli, spesso regalati da qualche buon lettore di Aspra, ma leggeva anche riviste e libri di ogni genere, che accatastati, traballavano su scaffali, mobili, sedie.
In quella dimora, insieme alle emozioni, traslate dalla letteratura, viveva in compagnia dei suoi gatti; l’afrore della lettiera lo portava sempre con sè, ovunque andasse.
La sera Pinuzza si raggomitolava su una poltrona davanti alla tv e attendeva sempre con piacere, la striscetta serale che mandava col carosello, i bimbi a letto. Tra le réclame, adorava quella in cui una linea si allungava e si spezzava ad ogni istante, per poi ricomporsi in innumerevoli posizioni e situazioni, dialogando in una lingua mai udita, ma decifrata dal pubblico di ogni età.
Lavorava in un’industria locale di conserve ittiche; discuteva con gli altri operai, avviando conversazioni, magari su argomenti di attualità o su pensieri che venivano fuori quasi in autonomia. Ma Pinuzza era controcorrente, polemica, dileggiava tutto. Consapevole di non riuscire ad adattarsi, si confortava nella certezza di avere un intelletto troppo elevato per essere capita.
Alla morte dei genitori, ormai sola, si rifugiò in una dimensione di nostalgico isolamento, fatto di lavoro, libri, programmi televisivi e rimuginazioni. Si concedeva un unico svago la domenica pomeriggio quando andava a trovare Margherita, la sua vicina.
Con i suoi figli intavolava, in particolare con Piero, ragionamenti che solleticavano il suo senso critico, sempre scevro da pregiudizi sociali. Lì, in quell’ambiente stimolante, respirava un clima alquanto sano e benevolo che favoriva il suo unico momento di confronto con il mondo empirico.
Un giorno, non la videro più: Pinuzza era partita. Si seppe che era andata a svernare in Liguria, di fatto non fece più ritorno. Era sparita per sempre, ammaliata da quella natura segreta e selvaggia dei boschi delle cinque terre.