Correvi tra vicoli e strade, braccia aperte e tanta libertà sulla pelle. 

La scuola? era per te una prigione, non riuscivi a costringerti in un banco, ma intanto possedevi sete di conoscenza. Quanti  tentativi furono fatti per ammaestrarti! Fosti persino obbligata ad andare da una sarta a strigliare pavimenti e pentole.

Di fatto, col collo allungato tra ramazze e paioli, in quella casa carpivi i segreti del cucito all’ignara couturier. Avresti voluto creare con le tue mani operose, avresti voluto fare altro, ma tua madre aveva già pianificato ogni cosa e ancora giovincella, ti affidava ai parenti di Aspra per le vacanze estive, certa che un paesano di vecchi retaggi ti avrebbe scelta per sistemarti al suo fianco.

Obtorto collo, a diciassette anni ti maritasti con Andrea, un vaccaro del paese di quattordici più grande. Quel giorno, lasciasti la tua città, l’infanzia e il vento tra le dita. Presto, tuo marito ti indusse al suo mestiere e cominciasti a prenderti cura della famiglia e del bestiame. Quante albe ti sorpresero mentre assistevi le giovenche in travaglio! Quante volte, in difficoltà, correvi nel buio della notte, da sola,  a cercare un veterinario!

Le femmine sono sempre state solidali in tutto ciò che il loro ciclo biologico ha loro richiesto. E allora, ti avviavi a piedi verso il mattatoio, sostenendo Andrea col tuo coraggio in quella strada buia, frequentata da malfattori, pronti a sbucare dagli alberi per estorcere denaro.

Quando arrivò il tempo della magra, fosti assunta in un’azienda di conservazione del pesce. Eri orgogliosa delle mansioni svolte;  attribuivi al lavoro manuale un valore supremo, pensando che Dio avesse faticato a modellare la prima creatura tanto quanto averle alitato quel soffio.